mercoledì 24 settembre 2008

Corso di italiano per donne


OGNI LUNEDÌ CORSO DI ITALIANO GRATUITO PER DONNE

Dove: via De Magistris, 15 - scuola statale Alberto Manzi

Quando: Lunedì, dalle 14.30 alle 16.00

Le lezioni saranno a cura delle volontarie del Gruppo Donne Snia

EVERY MONDAY FREE ITALIAN COURSE FOR WOMEN

Where: 15, via De Magistris - Alberto Manzi public school

When: Monday, from 2.30 p.m. to 4.00 p.m.

Lessons are given by the volunteers of female group Gruppo Donne Snia

TOUS LES LUNDI COURS GRATUIT DE LANGUE ITALIENNE POUR FEMMES

Où: 15, via De Magistris - école publique Alberto Manzi

Quand: Lundi, de 14.30 à 16.00

Les lecons seront données des volontaires du groupe féminin

Gruppo Donne Snia

دورة مجانية لتعليم اللغة الايطالية للنساء فقط

كل اثنين من الساعة14.30 الى الساعة ال16.00

لدى مدرسة

"A.MANZI"

في شارع

Di magistris N° 15

نحن في انتظاركم امام البوابة!

المؤسسة الثقافية

S.N.I.A

Manifestazione cittadina 7 marzo 2008

TRA LA FESTA IL RITO IL SILENZIO…

SCEGLIAMO LA LOTTA!!!

Le femministe e le lesbiche hanno memoria.

Marinella, Maria Carla Cammarata, era una giovane donna che il 7 marzo 1988 venne stuprata da 3 uomini, vicino Piazza Navona. Il movimento delle donne fece propria la sua battaglia e la accompagnò lungo tutto il percorso legale che seguì lo stupro. Alla fine del secondo processo gli stupratori vennero lasciati a piede libero e poco tempo dopo Marinella si lasciò morire di polmonite.

Oggi come ieri, siamo in piazza per denunciare ancora una volta la violenza maschile sulle donne e le lesbiche.

L’abbiamo già detto in 150.000 il 24 novembre scorso e in migliaia il 14 febbraio.

Abbiamo ripreso la parola senza delegare ad alcuna parte politica l’espressione del nostro pensiero e delle nostre pratiche.

Anche oggi non rinunciamo alla nostra autorappresentazione e autonomia, scegliendo di essere in piazza con un corteo autorganizzato da femministe e lesbiche.

Non parteciperemo alla manifestazione indetta dai tre sindacati, che legittimano politiche esclusivamente familiste volte a rinchiudere la donna nel ruolo di moglie e madre e a imporre l'eterosessualità come unica scelta. Leggiamo inoltre nella loro convocazione un tentativo di scavalcare, delegittimandola, la decisione presa dalle donne, all’assemblea nazionale del 12 gennaio, di autorganizzare un 8 marzo in ogni città.

Non permettiamo che qualcuno parli al nostro posto!

Gridiamo contro la violenza maschile, tra cui quella istituzionale che dibatte e legifera sopra i nostri corpi.

Diciamo basta a chi strumentalizza l’aborto e la procreazione per produrre consensi e per fare campagna elettorale.

Rivendichiamo il nostro diritto di scegliere, amare, decidere liberamente, contro l’eterosessualità e la maternità come scelte obbligate.

Non indietreggiamo di fronte agli attacchi contro la nostra libertà e autodeterminazione.

Tutte insieme, nessun passo indietro!

Invitiamo tutte le donne, le femministe e le lesbiche a sommuoversi insieme al

CORTEO DEL 7 MARZO 2008 da PIAZZA NAVONA –ore 18.30 ASSEMBLEA ROMANA DI LESBICHE E FEMMINISTE
http://flat.noblogs.org
x info: sommosse_roma@inventati.org

Manifestazione nazionale contro la violenza sulle donne 24 novembre 2007

Comunicato sul pacchetto sicurezza

NÉ SGOMBERI NÉ ESPULSIONI IN NOSTRO NOME!

Il gruppo donne del C.S.O.A ex Snia Viscosa si oppone con forza all’introduzione delle misure di sicurezza e di emergenza e alla campagna mediatica feroce e razzista che si è prodotta in seguito allo stupro e all’uccisione di Giovanna Reggiani.

Riteniamo che tali risposte non fanno altro che distogliere lo sguardo dall’avvenimento reale, la violenza su una donna. Avvenimento che viene strumentalizzato ai fini di una giustificazione e alimentazione della diffusa intolleranza nei confronti delle comunità immigrate.

Rifiutiamo la soluzione che al problema è stata data al livello governativo con sgomberi repentini e decreti che intensificano le misure di espulsione.

Esprimiamo il nostro sdegno per i raid razzisti e sanguinari che vengono perpetrati contro gli immigrati da parte di squadracce fasciste, come è successo, ad esempio, qualche giorno fa a Tor Bella Monaca o a Monterotondo.

Come donne, sottolineando fortemente la gravità di un episodio come quello della violenta morte di Giovanna Reggiani, ribadiamo che:

la violenza sulle donne NON HA CONFINI: DI PROVENIENZA GEOGRAFICA, DI CLASSE, DI RELIGIONE

la maggior parte delle violenze contro le donne AVVIENE IN FAMIGLIA O NELLA COMUNITÀ DI AMICI: i primi nemici per la donna sono, nella maggior parte dei casi, il marito, il fidanzato, il compagno, il padre, il fratello, l’amico, non l’estraneo che si incontra per strada (dati ISTAT 2006)

vogliamo essere libere di camminare per strada e di prendere un autobus, anche di notte, senza correre il rischio di essere continuamente sottoposte a sguardi offensivi, commenti pesanti, insulti ed aggressioni, le quali sono conseguenze di una concezione maschilista e patriarcale delle donne che domina ancora in tutte le culture, a partire dalla nostra.

Respingiamo dunque il pacchetto di sicurezza Amato che strumentalizza i corpi delle donne per ridurre le contraddizioni sociali a un problema di ordine pubblico. Lo ripetiamo, non è solo l’estraneo che si incontra per strada, né tanto meno l’immigrato, come il nostro governo vorrebbe farci credere, il vero protagonista della maggior parte delle violenze che vengono perpetrate sui nostri corpi, ma colui che vive o si aggira, alternativamente amato e odiato, tra le pareti della nostra casa.

Questi dati, confermati ogni anno dalle statistiche ufficiali prodotte da tutti i luoghi a cui le donne si rivolgono in caso di violenza (gli ospedali, i servizi sociali, i centri antiviolenza, i commissariati di polizia…), non vengono mai evidenziati dai media, per i quali un attacco alla famiglia, così come ancora oggi è concepita e tutelata dalla Chiesa, non è neanche immaginabile.

Per gli stessi motivi riteniamo insufficiente il decreto di legge Pollastrini che affronta il problema attraverso un semplice inasprimento delle pene. Tale decreto, intervenendo solo dopo che le violenze sono già avvenute nella loro massima gravità, non conduce a nessun tipo di risultati reali. Non si preoccupa di far attuare misure cautelative (che impongono, per esempio, l’allontanamento dell’uomo violento dalla casa). Non programma strategie di prevenzione e azioni di trasformazione culturale. Non definisce risorse e strumenti per un adeguato reinserimento sociale delle donne che decidono di lasciare il marito, portandosi nella maggior parte dei casi i figli con sé. Non prevede finanziamenti per corsi di formazione e professionali, aiuti per l’affitto, sovvenzioni per l’asilo o le spese scolastiche dei figli, rivolti alle donne che hanno subito violenze. Misure in gran parte presenti nella “Legge integrale contro la violenza di genere” spagnola, costruita in collaborazione con il movimento femminista . Misure che vorremmo fossero comprese anche nella legge italiana.

La violenza contro le donne non è un problema di ordine pubblico e non si affronta con misure repressive e coercitive. È un problema culturale che attiene al modo in cui le relazioni tra uomini e donne si strutturano e si autorappresentano nella società.

Servono una battaglia culturale profonda e azioni a lungo termine volti al cambiamento dei rapporti tra i sessi e all’annullamento della mentalità patriarcale e sessista ancora fortemente dominante.

Respingiamo infine con sdegno l’ignobile appello delle forze politiche e dei gruppi di destra, che fanno appello alla salvaguardia dei corpi delle donne italiane con espressioni del tipo “giù le mani dalle NOSTRE donne”. Ancora una volta, in consonanza con una piena concezione fascista della società, i corpi delle donne divengono il luogo attraverso cui si costruisce l’identità nazionale; le donne non sono considerate soggetti, individui, ma elementi biologici e strumenti di procreazione di una comunità più ampia. La violazione dei loro corpi diventa semplicemente una violazione dell’onore della nazione.

Noi donne diciamo che i nostri corpi non devono essere utilizzati per alcuna strumentalizzazione politica né per criminalizzazioni di stampo razzista.

Non vogliamo tutori e difensori. Non siamo soggetti deboli da proteggere. Non vogliamo essere pedine di una svolta conservatrice, che rischia di investire le relazioni tra i sessi e la società tutta.

Noi donne siamo solo nostre.

L’ALTRA METÀ DEL CIELO È IN TEMPESTA

13 ottobre 2007 incontro pubblico con le operatrici del consultorio

Non crediamo più alle favole!! Carnevale 2006 antisessista

Opuscolo informativo sulla violenza di genere

Cosa intendiamo per violenza contro le donne?

Intendiamo una particolare forma di oppressione verso il genere femminile, usata dagli uomini per mantenere invariata la loro posizione di potere, che ha come intento quello di relegare le donne nella condizione di “eterne subordinate”.

Diverse sono le forme in cui si esplicita: dall’eliminazione fisica alla nascosta violenza domestica, dalla violenza psicologica, che si presenta in forme meno visibili, allo stupro (occasionale o ripetuto), dagli stupri di guerra, ai ricatti economici in casa, sul posto di lavoro, etc.

L’ONU e l’U.E. la definiscono violenza di genere, cioè una violenza che si annida nello squilibrio relazionale tra i sessi e nel desiderio di controllo e di possesso da parte del genere maschile sul femminile.

Le macro-tipologie di violenza riconosciute sono: violenza fisica (maltrattamenti), sessuale (molestie, stupri, sfruttamento), economica (negazione dell’accesso alle risorse economiche della famiglia, anche se prodotte dalla donna), psicologica (violazione del sé), di coercizione o riduzione della libertà.

Da tali definizioni si può comprendere come la violenza attraversi in maniera pervasiva la vita di noi tutte, senza escludere alcuna!

In questo ultimo periodo i media si sono concentrati sulla denuncia di violenze sessuali da parte di violentatori giovanissimi che stuprano e minacciano le loro coetanee. Citiamo la recente notizia, che ci viene da Ancona, dove un gruppo di ragazzi ha ripetutamente violentato una giovane di tredicenne.

I media lanciano l’allarme, i rappresentanti della politica prendono posizione , ma una seria analisi del fenomeno ed una efficace proposta di intervento appaiono ancora lontane dal realizzarsi.

Il lavoro delle donne per la costruzione di una diversa cultura che dia voce al soggetto femminile,lo riconosca nella sua ricchezza e diversità, è ancora lungo e faticoso. Molte sono le resistenze ed i tentativi di cancellazione delle conquiste ottenute.

Nella giornata del 25 novembre si parla di violenza contro le donne. E' già qualcosa perchè di fatto non se ne parla molto. E' già qualcosa perchè per troppo tempo il silenzio sull'argomento o ha quasi minimizzato, ridotto di spessore mediatico e conseguentemente di importanza, come se non fosse né grave nè rilevante. I dati statistici bastano da soli per ridare il giusto spessore a quella che è una piaga, non solo mai sanata ma su cui pochissimi sono i tentativi di intervento, se si escludono le realtà dei Centri antiviolenza.

Una seria politica di intervento da parte delle istituzioni dovrebbe potenziare le risorse necessarie a coloro che per questo processo di trasformazione lavorano già da tempo. Un esempio ne sono i centri antiviolenza, messi in piedi agli inizi degli anni novanta in tutta Italia da gruppi di donne. Dare visibilità a questi spazi significa dare visibilità al problema che va affrontato con la prevenzione e con una giusta consapevolezza collettiva. I Centri antiviolenza, che agiscono soprattutto grazie alle forze delle volontarie, pur volendo occuparsi della prevenzione, di fatto non hanno le dovute risorse soprattutto economiche, in quanto non esiste una sufficiente attenzione delle istituzioni rispetto a questa piaga.

I dati sulla violenza contro le donne

Nonostante il fenomeno sia in gran parte sommerso, si scoprono dati allarmanti.

Prima del cancro, degli incidenti stradali e della guerra, ad uccidere le donne o a causarne l'invalidità permanente, è la violenza perpetrata dall'uomo.

Tale affermazione si evince da una dichiarazione di Mary Robinson, componente della Commissione Onu sulla violenza alla fine degli anni ‘90.

Le statistiche inerenti ai reati commessi negli stati membri della commissione europea parlano chiaro: in Europa la violenza rappresenta la prima causa di morte delle donne nella fascia di età tra i 16 e i 50 anni e nel nostro paese ogni tre morti violente, una riguarda donne uccise dal marito, convivente o fidanzato.

In Russia, in un anno, sono morte 13mila donne, il 75% delle quali uccise dal marito, solo a titolo di paragone 14000 russi sono morti durante la guerra contro l’Afganistan, nell’arco però di 10 anni.

Negli Stati Uniti e in Svezia si registrano dati sulla violenza femminile molto alti: negli Usa ogni quattro minuti una donna viene violentata e in Svezia, dove l'emancipazione femminile ha raggiunto i massimi livelli, ogni dieci giorni una donna viene uccisa.

L'ultima ricerca dell'Eures, relativa al 2004, dimostra che un omicidio su quattro in Italia avviene in famiglia, tra le mura domestiche. Il 70% delle vittime sono donne.

Le violenze sessuali sono un fenomeno ancora molto sommerso: solo il 32% delle donne che hanno subìto uno stupro negli ultimi 3 anni e solo l'1,3% di quelle che hanno subìto un tentato stupro, hanno sporto denuncia.

I dati, già di per sé agghiaccianti, risultano però piuttosto approssimativi. Rintracciare con certezza le proporzioni del fenomeno della violenza subita dalle donne non è ancora possibile per via della tendenza a non denunciare gli abusi.

In occasione della giornata internazionale per l’eliminazione della violenza nei confronti delle donne, la Commissione permanente dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (APCE) ha adottato, nel corso di una riunione a Bucarest nel novembre del 2005, la seguente dichiarazione:

“Migliaia di donne subiscono quotidianamente violenze fisiche, sessuali o psicologiche in Europa. Ogni giorno, una donna su cinque è vittima della violenza domestica nel nostro continente. Tale fenomeno interessa tutti gli stati membri del Consiglio d’Europa e tutte le categorie professionali. Troppe vittime, tuttavia, si chiudono nel silenzio e numerosi crimini restano impuniti.”

Per rendere ancora più palpabili le considerazioni appena fatte, ricordiamo che fino al 1981 il delitto d’onore era ancora presente nella nostra legislazione. Solo nel 1996 è entrata in vigore la legge contro la violenza sessuale, grazie all’instancabile impegno politico portato avanti dai gruppi di femministe, in diciotto anni di estenuanti trattative. Si è così finalmente riconosciuto che lo stupro è un reato contro la persona e non più contro un’astratta morale .

La violenza nel vissuto quotidiano delle donne

Il maschilismo è l’uso sistematico del potere degli uomini nei confronti delle donne. È un potere che si esplica in forme diversificate, autorevoli ed autoritarie e si perpetua nella quotidianità del vissuto femminile. Non è solo nello stupro o nell’assassinio il modo in cui avviene l’esercizio di dominio dell’uomo nei confronti delle donne (anche se queste sono le espressioni più violente) ma è anche nelle altre forme di potere della realtà di tutti i giorni, che passano attraverso la comunicazione, il ruolo dato alle bambine e alle donne poi nella famiglia, nella società, nella scuola e nel mondo del lavoro. Le parole, i silenzi, la gestualità, i sorrisi, le ammonizioni considerate “naturali ed innocue” usate nei confronti delle donne sono carichi di significati, materiali simbolici discriminanti, che definiscono il ruolo delle donne in termini di subordinazione nei confronti degli uomini. fino all’accettazione da parte delle donne della propria inferiorità fino a farle sentire responsabili delle violenze subite, e vergognarsi di denunciare gli abusi dentro e fuori le mura famigliari.

In linea generale storicamente le religioni hanno contribuito e determinato a radicalizzare l’ideologia maschilista. Nell’occidente l’immagine di dio è maschile. Stando al racconto biblico dio creò l’uomo a propria immagine e somiglianza, mentre la donna è frutto di un atto di creazione secondaria derivante da una costola dell’uomo e da un pugno di terra. Noi donne che creiamo siamo state così espropriate dall’atto di creazione della vita. Gli ebrei ancora oggi recitano ogni mattina una preghiera in cui alla fine ringraziano dio per non averli fatti nascere donne. Nel nuovo testamento si legge… “il marito è capo della propria moglie…le mogli si sottometteranno in tutto al proprio marito”.

Oggi nella nostra società il sesso determina lo status occupazionale di una persona, che è fortemente influenzato dall’istruzione. Le donne dagli anni Settanta in poi hanno avuto accesso alla scolarizzazione superiore ma ancora oggi si registra che per esse le scelte scolastiche secondarie e universitarie sono fortemente condizionate dal proprio sesso, che culturalmente vuole le donne relegate in ruoli subordinati ed escluse da compiti di responsabilità e di alta competenza.

Si crea un circolo vizioso di emarginazione, precarietà e disoccupazione femminile: non è un caso che nei confronti delle donne sono più facili i licenziamenti, il ritardo nell’assunzione, il declassamento nelle mansioni e nelle posizioni professionali; inoltre le donne continuano ad assumersi pienamente anche il lavoro dentro casa e la responsabilità della crescita dei figli.

Nella società i mass media attraverso la pubblicità legittimano il ruolo ideale e stereotipato delle donne come tentatrici – oggetto di desiderio maschile – o moglie e madre, donne comunque dipendenti dagli uomini, facendo credere loro che i propri talenti e interessi devono passare in secondo piano rispetto ai bisogni dei loro mariti, figli e amanti. Purtroppo non è solo la comunicazione di massa ad esercitare questo ruolo ma è nella quotidianità della comunicazione personale diretta che si sedimenta lo stereotipo riguardante l’identità sessuale.

Non è raro che anche nelle situazioni sociali e politiche più emancipate si registrano modalità e comunicazioni fortemente discriminatorie nei confronti delle donne. Il fatto che spesso gli uomini diano per scontato che le donne sono in qualche modo inferiori rende per loro impensabile, anche se non lo dichiarano, instaurare dei rapporti significativi, rispettosi ed egualitari con le donne; essi sono restii a perdere il proprio potere e rinunciare al loro status privilegiato. Pensare ad una società diversa significa affermare che le donne hanno delle caratteristiche diverse da quelle degli uomini. Il portare della cultura femminile è veramente rivoluzionario, in quanto significa l’affermazione del riconoscimento dell’uguaglianza nella diversità, di stili e modi di vita diversi ed alternativi, facendo venire meno le dinamiche del potere e della discriminazione.

La violenza domestica

La violenza domestica è la forma di violenza più diffusa nel mondo e rappresenta una violazione del diritto delle donne all’integrità fisica e psicologica. In questo contesto i maltrattatori sono uomini che appartengono alla cerchia dei famigliari, mariti, conviventi, fidanzati o ex, padri o fratelli, anche per i casi di violenza sessuale Si manifesta in varie forme: abusi fisici e psicologici, atti di violenza o tortura, stupro coniugale, incesto, privazioni economiche, matrimoni forzati o prematuri, crimini d’onore (quest’ultima forma si registra quando un uomo si sente leso nel suo “onore” dai comportamenti della propria moglie, figlia, sorella: comprende la tortura, lo sfregio permanente del viso con acido, l'omicidio: si registrano casi in numerosi paesi del Medio Oriente, dell’Asia meridionale e dell’America Latina, ma anche nei paesi dell’occidente). È una forma di violenza trasversale che si ritrova in tutte le società, culture, classi, sia nei paesi a capitalismo avanzato che negli altri.

Restringendo il discorso ai paesi che meglio conosciamo, cioè a quelli dell’occidente, europeo e non, notiamo come la violenza domestica continui a presentare cifre allarmanti, e questo nonostante un parziale cambiamento di mentalità attuatosi dal secondo dopoguerra a oggi, e tutta una serie di conquiste civili (divorzio, aborto, riforma del diritto di famiglia ecc) ottenute in seguito alle lotte del movimento femminista.

D’altra parte, se si considera il modo in cui è avvenuta tra donne la trasmissione di questi diritti conquistati, questo non dovrebbe stupirci: la maggior parte di essi sono infatti stati recepiti in maniera meccanica dalle donne negli anni successivi e continuano ad esserlo ancora oggi, senza che sia corrisposta una piena consapevolezza individuale.

La violenza domestica, così come quella che avviene fuori dalle pareti della casa, è il frutto di un intreccio di motivazioni culturali e sociali, nonché di elementi psicologici: abbiamo una società che prepara gli uomini a rivestire ruoli e funzioni di dominio e potere, e quindi incide su un sostrato di vulnerabilità psicologica di molti di questi uomini, i quali producono certi comportamenti sotto la spinta di quei modelli culturali e sociali.

La violenza domestica è una forma di violenza che generalmente non viene affatto considerata: infatti è difficile a livello sociale e individuale accettare che la famiglia o la coppia non siano quei luoghi pieni di amore, comprensione reciproca, armonia, con cui per secoli il nostro immaginario femminile è stato nutrito e allevato, per vincolare le nostre scelte di vita al modello famigliare e all’ideologia morale e religiosa, come oggi ancora avviene attraverso le informazioni e i modelli culturali trasmessi dai media; è difficile per la maggior parte delle donne (e degli uomini) riuscire ad accettare che la violenza si consumi all’interno delle coppie e delle famiglie comuni, che l’uomo violento non sia soltanto il bruto ubriaco, il maniaco, il perverso, o l’immigrato clandestino: preferiamo ritenerlo un fenomeno marginale, proprio di situazioni sociali ed economiche difficili, mentre invece, come si è gia detto, il fenomeno della violenza domestica è trasversale a tutte le classi sociali e a tutte le culture.

Solo dagli anni 70 attraverso le lotte del movimento femminista si è cominciato a riflettere sulla violenza domestica e sull’ impatto che essa aveva sulle donne, imponendola all’attenzione delle istituzioni come problema sociale, rendendola oggetto di riflessione politica e non più solo un fatto privato come era considerata fino ad allora. Ancora oggi i media, così solleciti quando si tratta di denunciare lo stupro avvenuto per strada, soprattutto se ad opera di un immigrato, l’altro da sé per eccellenza, solitamente tacciono sulle vicende e sulle incidenze della violenza domestica, e così tendono a veicolare l’idea che si tratti di un fenomeno residuale e minimale, mentre è un vero e proprio massacro perpetrato ai danni delle donne.

Esistono numerose ricerche, attuate sia negli U.S.A. che in molti paesi europei, dalle quali risultano percentuali altissime di violenze domestiche.

Dobbiamo considerare inoltre che i dati solitamente si riferiscono solo alle violenze fisiche che vengono denunciate, e non tengono conto dunque di tutti i casi sommersi, che sono la maggior parte: per esempio è molto difficile per una donna riconoscere quando il proprio compagno o il proprio marito agiscono con violenza su di lei imponendole, per esempio, un rapporto sessuale non desiderato, che però viene solitamente considerato come facente parte dei “doveri di coppia”;o ancora, solo in anni recenti stanno aumentando le segnalazioni delle violenze psicologiche, le quali, secondo i racconti stessi delle donne, sono quelle più devastanti e che lasciano maggiori danni nella psiche.

È bene evidenziare infatti che ogni violenza è prima di tutto psicologica, ed è lì che si deve intervenire se si vuole incidere sulle cifre enormi della violenza fisica domestica

Senza un’attenzione alle forme e ai modi della violenza psicologica, infatti, non si potrebbe spiegare come le donne ancora oggi abbiano così tante difficoltà a reagire ai partners violenti, ad uscire dalla relazione, addirittura a prendere consapevolezza di quello che sta loro accadendo.

Solitamente infatti le violenze fisiche arrivano alla fine di un processo lungo e devastante di violenze psicologiche, e queste ultime ne preparano il terreno, mentre invece un’immediata aggressione fisica verrebbe in molti casi riconosciuta dalla donna e creerebbe delle reazioni di difesa; consideriamo inoltre che non sempre gli uomini violenti hanno un comportamento costante che permette alle donne di riconoscerli come soggetti pericolosi, ma nella maggior parte dei casi alternano alle azioni violente lunghi momenti in cui sono compagni affettuosi e amorevoli.

Esistono delle relazioni in cui il partner può distruggere la compagna senza sferrare alcun colpo fisico, ma attraverso continue aggressioni verbali, intimidazioni oppure più sottilmente attraverso critiche continue, svalutazioni, dubbi sull’operato o sulle capacità intellettuali della donna, omissioni, deprivazioni economiche o controllo asfissiante sulle spese: sono strumenti occulti, ripetitivi e sottili che hanno come fine la demolizione e la sottomissione della soggettività femminile, la perdita da parte della donna della fiducia in se stessa. In molti casi poi le donne arrivano già con un portato di violenze psicologiche (e fisiche) maturato per esempio all’interno della loro famiglie d’origine, esperienza che le rende incapaci di pensare che possano esistere modi diversi di vivere la relazione di coppia o quella famigliare: per questo è importante tutelare il più possibile i bambini e le bambine da questo tipo di esperienze, poiché essi imparano dai genitori il modo di interagire con gli altri, e infatti spesso bambini e bambine maltrattati finiscono per riprodurre le stesse dinamiche di dominio e soggezione nelle loro future relazioni.

Ogni violenza è prima di tutto psicologica perché il fine dell’uomo violento che aggredisce la propria compagna non è semplicemente quello di farle un occhio nero: la sua finalità è il dominio, è instaurare un rapporto di potere in cui sia ben chiaro chi dei due è il padrone.

Purtroppo ancora oggi la violenza psicologica non è sufficientemente tutelata in sede legale (molto recenti e in fase di definizione sono le categorie giuridiche del mobbing per le molestie sui luoghi di lavoro) e ancora pochi sono gli studi su di essa. Ciò avviene per due motivi principali: il primo riguarda la valenza soggettiva di questo tipo di violenza, poiché la consapevolezza di quello che è inaccettabile varia da un’epoca all’altra, da una società all’altra, e anche da una donna all’altra, in quanto sono il portato della sua esperienza e della sua sensibilità; il secondo riguarda la difficoltà di individuarla, poiché finalità distruttive possono essere veicolate anche attraverso parole affettuose e spesso addirittura giustificate attraverso il sentimento d’amore.

È inoltre importante distinguere tra la semplice lite, in cui sotto il conflitto e lo scontro, anche veemente, sono presenti sia un’affermazione della propria personalità sia il riconoscimento dell’esistenza e dell’importanza di quella dell’altro, e la violenza, il cui fine è invece l’annichilimento dell’altro, nel caso specifico della donna.

La maggior parte delle ricerche e dei dati considerano ancora la coppia eterosessuale, ma cominciano a esservi studi che rivelano come analoghe dinamiche si rinvengano in molte coppie omosessuali.

È necessario dunque continuare a discutere e a combattere il sessismo che è ancora dominante in tutte le società e le culture del mondo, e che trova tra le pareti domestiche il terreno più frequente, più sicuro e più distruttivo di espressione.

La mercificazione del corpo femminile

Un maxi cartellone pubblicitario, che qualche anno addietro troneggiava sulle nostre strade, proponeva un primo piano di una bionda dal seno prosperoso accompagnato dalla scritta “non so cucinare, e allora?”, quasi a presentare la mercificazione del corpo femminile come alternativa “rivoluzionaria” all’abituale ruolo di “angelo del focolare” assegnato alla donna dalle nostre società inguaribilmente patriarcali.

Finalmente ecco una valida alternativa per la donna, ormai sempre più restia ad accettare il confino entro le mura domestiche: imbellettarsi ed infiocchettare il proprio corpo in modo da renderlo assai più invitante e succulento di una pietanza ben cucinata. Del resto i paragoni culinari sembrano riscuotere un notevole successo: la homepage di uno dei più noti siti internet (ovviamente non pornografico, ma di quelli adatti a tutti, anche ai minori) richiama l’attenzione sugli “stuzzicanti video” di ragazze che è possibile scaricare.

Non c’è che dire, il passaggio da cuoche a “stuzzichini” è davvero significativo nell’ evoluzione dell’immaginario collettivo sul genere femminile e fondamentale per l’ emancipazione della donna

Il corpo femminile è con insistenza proposto (dalla pubblicità, dai media) quale strumento di soddisfacimento del piacere sessuale maschile, viene svestito o vestito in funzione di una ragione sociale che guarda sempre all’esigenza dell’uomo come prioritaria. In questo senso l’imposizione di un abbigliamento atto a nascondere il corpo femminile o, al contrario, il costante invito a mostrarlo e ad ostentarne le forme sono ad essere due facce della stessa medaglia.

In entrambi i casi, infatti, la donna viene espropriata del proprio corpo, cessa di dominarlo, e si apre la porta alla legittimazione dello stupro: forte di una società modulata sui suoi bisogni anche in ambito sessuale, l’uomo è portato a concepire il corpo femminile come qualcosa che esiste per lui, che viene esibito o occultato per lui, per invogliarlo o disincentivarlo all’atto sessuale e dunque si sente in diritto di disporne a suo piacimento.

Il corpo della donna è “bene mobile” di cui padri e fratelli possono servirsi quale merce di scambio concedendo la propria figlia o sorella in sposa ad altri uomini che ne faranno lo strumento per il soddisfacimento di esigenze sessuali e riproduttive.

Se, dunque, le modalità attraverso cui la donna viene “istruita” ad offrirsi per la realizzazione sociale e sessuale maschile possono subire dei mutamenti (variando da un’educazione improntata sul vivere nascostamente e preservarsi per il futuro sposo, ad una esplicita professione di disponibilità sessuale) un punto resta fermo: la sessualità, i desideri, i bisogni della donna sono immancabilmente e assolutamente invisibili.

Violenza sulle donne in contesti di guerra

Se, in tempo di pace, la violenza sulla donna appare così frequente, ancora più diffusa risulta essere in situazioni di guerra, dove la popolazione femminile è esposta, al pari e maggiormente di altre categorie, a sopraffazioni e violenze.

La violenza sulla donna, e in particolar modo l’abuso sessuale, all’interno dei conflitti bellici, si pone non come un’azione occasionale ma come un’arma, una pratica usata intenzionalmente per indebolire forza e potere del nemico. Lo stupro, soddisfacendo gli animaleschi istinti di soldati brutali, è infatti causa di umiliazione, di sottomissione, di intimidazione, di terrore, oltre che espressione di disprezzo e di odio razziale. Altri casi di violenza, organizzata e pianificata, diversi nelle motivazioni ma uguali nelle conseguenze, sono quelli degli stupri “autorizzati” come premio per le truppe vincitrici di quella o quell’altra attività bellica specifica.

Fino a non molto tempo fa la violenza sulle donne veniva considerata con uno spiacevole ma inevitabile effetto dei conflitti bellici. La gravità di un fenomeno del genere non viene ancora percepita adeguatamente dal senso comune. Pensiamo alla tranquillità con cui si è sempre raccontato il “Ratto delle Sabine” (rapite e violentate al tempo di Romolo dai fondatori della città di Roma che non avevano donne da cui sarebbe potuta nascere la loro discendenza).

La maggior parte delle volte tali stupri, perpetrati in contesti colmi di brutalità, barbarie e sopraffazioni, rimangono sconosciuti all’opinione pubblica (anche in quanto spesso taciuti dagli atteggiamenti conniventi delle autorità).

Non dimentichiamo il rischio di queste donne abusate, spesso più volte e da più uomini, di contrarre pericolose malattie sessualmente trasmissibili.

In molti contesti, poi, la donna si ritrova ad essere ripudiata, allontanata da marito e parenti, in quanto violentata, madre di un figlio di una diversa etnia.

E, sempre più spesso, proprio questo risulta essere lo scopo dei soldati che mettono in atto tali stupri, ovvero quello di annientare la stirpe della popolazione nemica mettendone incinte le donne. Un obiettivo abietto e abnorme che si concretizza, ovviamente dopo uno, due decenni ma che, sin da subito, genera umiliazione e sconcerto psicologico.

Questo è quanto avvenne nel contesto della ex Jugoslavia durante la guerra civile che il paese visse, a partire dal 1992 e per tutti gli anni Novanta, (ricordato, tra l’altro, nel film “Il segreto di Esma” di Jasmila Zbanic Orso d'oro 2006). Lo stupro di massa che fu praticato, fu infatti messo in atto anche secondo uno scopo ben pianificato, ovvero quello di una pulizia etnica della popolazione bosniaca. All’interno di un contesto di violenze quale fu quello della guerra serbo-bosniaca, furono circa 20.000 le donne stuprate con lo scopo di far portare loro in grembo il figlio del nemico e farne così morire l’etnia. Ricordiamo ancora il terribile stupro di massa avvenuto nel maggio 1944, verso la conclusione della seconda guerra mondiale, proprio in Italia, in Ciociaria. Un contingente dell’esercito francese, sbarcato in Italia al fine di contribuire alla liberazione della nazione dalle truppe tedesche, commise brutali violenze sulla popolazione ciociara e violentò un enorme numero di ragazze e di donne. Le cifre non sono certe ma si parla di circa 3.000, 3.500 donne stuprate dai soldati alleati. Numero impressionante se si pensa al brevissimo periodo (12-27 maggio) e al limitato territorio in cui tali violenze furono perpetrate. Questo evento, così terribile, ha ricevuto una risonanza più che nei testi storici, nella letteratura e nella filmografia. Ci riferiamo, ovviamente, al romanzo di Alberto Moravia “La Ciociara” (1957) e l’omonimo film di Vittorio de Sica (1960).

Oggi lo stupro di guerra è considerato crimine contro l’umanità (per la prima volta nel febbraio 2001 dal Tribunale Internazionale per l’ex Jugoslavia). Ma i conflitti bellici non sono finiti e queste terrificanti azioni continuano ad essere proprie di ogni contesto di guerra. Pensiamo all’Afganistan, all’Iraq o a tutte le altre guerre ancora in corso. Ne abbiamo approfondito solo due a titolo di esempio, perché a noi più vicine o perché di dimensioni veramente drastiche. Ma non si pensi che queste rappresentino situazioni inconsuete o isolate. Dove c’è guerra c’è violenza e sopraffazione e, purtroppo, la donna è sempre la prima subirla con il proprio corpo.

Riappropriamoci del nostro corpo



Manifestazione nazionale contro la violenza sulle donne 25 novembre 2006

25 novembre 2006

Giornata internazionale contro la violenza sulle donne

Ore 12.00
Manifestazione
a Largo Argentina

La violenza sulle donne si esplicita in diverse forme: violenza fisica (maltrattamenti), sessuale (molestie, stupri, sfruttamento), economica (negazione dell’accesso alle risorse economiche della famiglia, anche se prodotte dalla donna), psicologica (violazione del sé), coercitiva (riduzione della libertà).

Essa costituisce un fenomeno trasversale: si manifesta in diversi ambiti, indipendentemente dal contesto di vita, dalla classe sociale di appartenenza, dal livello di istruzione, dall’età, dagli aspetti fisici e caratteriali.

La violenza sulle donne è il frutto di una cultura maschilista patriarcale.

E’ una terribile pratica usata dagli uomini di ogni società e di ogni tempo per mantenere invariata la loro posizione di potere e continuare a relegare le donne nella condizione di “eterne subordinate”.

La violenza risulta essere la prima causa di morte per le donne (prima del cancro o degli incidenti stradali).

In un caso su tre si tratta di violenza domestica, perpetuata dal proprio padre, marito, compagno, etc...

Le violenze fisiche, nell’ambito della famiglia, rappresentano solo uno degli aspetti, anche se il più evidente, delle forme in cui si manifestano i maltrattamenti e le sopraffazioni sulle donne. Essi infatti arrivano solitamente alla fine di un processo lungo e devastante di violenze psicologiche a carattere “preparatorio”.

Riappropriamoci del nostro corpo

Donne Snia

28 ottobre 2006 giornata di mobilitazione antifascista

IL FEMMINISMO È IL VERO ANTIFASCISMO


Il fascismo si è caratterizzato, nella sua struttura materiale e nelle sue forme simboliche, come l’espressione più chiara ed evidente della violenza istituzionalizzata di genere, di classe, di etnia.

Anche quando in Italia si è passati al successivo governo repubblicano, le donne non hanno mai smesso di subire queste violenze. Tutti i giorni continuiamo ad essere attraversate, nelle relazioni, nella comunicazione, nel nostro vissuto, dalla violenza: il fascismo per noi non è mai venuto meno.

Per noi donne l’antifascismo quindi acquista contenuti che fuoriescono dalla comune denotazione creata negli ambiti della politica e del pensiero maschile.

Essere antifasciste, oggi, vuol dire combattere e denunciare ogni forma di quel sempre attuale dominio maschilista che, con la sua carica violenta, ci “accompagna” in molti momenti e luoghi della nostra vita quotidiana: nel posto di lavoro, entro le “calde” mura domestiche, passeggiando piacevolmente per la strada o guidando la macchina la sera.

Gli ultimi esempi di stupri ci allarmano, ma sicuramente non ci appaiono una novità: lo sappiamo per diretta esperienza che le strade per noi non sono sicure. E che il nostro aggressore può essere chiunque, a prescindere dalla nazionalità, dal legame di parentela, dall’orientamento ideologico e dalla classe sociale di appartenenza.

Episodi di violenza sono sempre all’ordine del giorno. Per rendersene conto basta guardare nelle proprie case, parlare con la vicina, sfogliare la cronaca nera della nostra città in cui frequentemente si legge “donna uccisa dal marito perché troppo geloso”.

Il marito, l’uomo, si sente padrone di decidere della vita della donna come se fosse in suo potere, o uno strumento di cui fare ciò che vuole, fino ad annullarla psicologicamente o a toglierle la vita.

Ma non è solo nell’ambito della violenza che si evidenzia questa subalternità femminile.

Ancora oggi la condizione della vita, dei diritti, dell’esistenza delle donne, mostra numerosi esempi di continuità con il passato.

È possibile cogliere alcune inquietanti similitudini tra quanto asserito dal regime fascista riguardo al ruolo della famiglia e della donna e quanto accade oggi nella nostra attuale “democrazia” parlamentare. Del resto non vi è nulla di cui sorprendersi, vista l’ingerenza della chiesa cattolica nel determinare la morale da seguire in fatto di riproduzione e sessualità. Ingerenza che -guarda caso- si rafforza istituzionalmente proprio durante il fascismo, nel momento in cui la chiesa riconosce lo stato italiano in cambio di un rapporto privilegiato con esso, soprattutto riguardo a tematiche quali l’istruzione e l’istituzione matrimoniale.

Non è difficile scorgere nell’attuale propaganda attuata dai movimenti per la vita una degna prosecuzione dell’alleanza tra stato e chiesa, inaugurata dai Patti Lateranensi durante il ventennio fascista. Con la sola differenza che attualmente lo stato dovrebbe essere laico e democratico.

Ancora oggi la soggettività è subordinata in nome della famiglia, ritenuta la cellula “sacra” ed inviolabile della società è l’unica titolare di diritti.

Rispetto all’ambito sessuale e della riproduzione, il fascismo negava l’aborto e la contraccezione e incentivava una politica a sostegno delle famiglie numerose. Oggi, ripetuti sono gli attacchi da parte delle gerarchie vaticane e dei partiti che tagliano i finanziamenti ai consultori pubblici e ai servizi per l’interruzione di gravidanza e incentivano, invece, quelli ai movimenti per la vita; di conseguenza, oggi come ieri, si ricorre all’aborto clandestino.

Nel lavoro invece, nonostante la retorica delle pari opportunità, continua a perpetuarsi la divisione in base al sesso. Le donne vengono pagate di meno a parità di mansioni o sono spesso costrette a firmare fogli di licenziamento in bianco, al momento dell’assunzione, per l’eventualità di una maternità. Anche il lavoro di cura o quello all’interno della famiglia, sono ancora considerati prerogativa femminile. Il tasso di disoccupazione e di precarietà, nonché i vari contratti atipici, riguardano prevalentemente le donne, che devono dividere il proprio tempo fra la cura dei familiari e il lavoro retribuito. È sotto gli occhi di tutti che le donne occupano raramente posti di decisione, di responsabilità, dentro i vari ambiti della società (lavoro, università, sanità, politica, ecc…)

Per noi la resistenza al fascismo quindi è la lotta quotidiana alla violenza, alla sopraffazione, alla negazione di diritti, alla gerarchia e alla discriminazione, per l’autodeterminazione di noi stesse nella nostra vita, nella nostra sessualità come lesbiche, singole o coppie etero o omosessuali; per la nostra libera scelta riproduttiva e di maternità, sia essa da singola o di coppia, omologa o eterologa.

29 settembre 2006 giornata europea sui diritti e la salute delle donne

ROMA RISPONDE

29 settembre giornata europea sui diritti e la salute delle donne
PIAZZA SAN COSIMATO dalle 18 in poi

STANDS INFORMATIVI, TEATRO, WORKSHOPS, MUSICA

DANNATAMENTE DONNE...
PER ESSERE, DECIDERE E LOTTARE CON IL NOSTRO CORPO E LA NOSTRA MENTE.
Autodeterminazione delle donne contro falsi moralismi, violenze,
sfruttamento, sensi di colpa, ruoli imposti, discriminazioni, divieti..
LIBERE DI SCEGLIERE!



Al social forum ad Atene è stata proposta la data
del 29 settembre per una mobilitazione europea sui
diritti e sulla salute delle donne.

Da troppo tempo il nostro diritto all’autodeterminazione sulle scelte della vita e della sessualità, è costantemente preso di mira, limitato, costretto o fuorviato da vari poteri

(influenza del vaticano, indirizzi politici, vincoli economici del mondo del lavoro,

organizzazione della società).
Scendiamo in piazza per gridare ancora una volta il nostro NO
contro ogni tipo di ingerenza, controllo e potere sui nostri corpi, per la nostra
autodeterminazione, per la nostra salute, per i nostri diritti.



Per confrontarci, per gridare forte la nostra
determinazione a difendere e
soprattutto affermare i nostri diritti, proponiamo una
mobilitazione cittadina per il 29 settembre:

una mobilitazione che sappia comunicare,
informare che certe battaglie non sono finite,
controinformare, sensibilizzare, denunciare,
confrontarci.

Collettivi femministi e comitati di donne romane

Blitz pillola del giorno dopo 8 giugno 2006

Pillola del giorno dopo? “Prenda un treno e vada in Francia…”

Ieri notte, venerdì 9 giugno, ci siamo rivolte al pronto soccorso di dieci ospedali di Roma e provincia per chiedere la pillola del giorno dopo, come succede a tante donne ogni sera.

Eravamo circa trenta donne di varie realtà autorganizzate di Roma (l’Assemblea femminista di via dei Volsci 22, il Csoa ex Snia Viscosa, il Collettivo femminista La mela di Eva, il Collettivo delle Ribellule) e ci siamo mobilitate a partire dall’esperienza che una nostra compagna ha avuto quella sera stessa al pronto soccorso maternità dell’ospedale San Giovanni. Alla semplice richiesta di una pillola del giorno dopo, la medica di turno ha opposto la sua obiezione di coscienza. La successiva richiesta di un’attestazione scritta del motivo del rifiuto ha determinato un’attesa e una trafila di due ore in cui la nostra compagna ha subito domande invadenti ai limiti della vessazione come stato civile, livello d’istruzione, posizione lavorativa, oltre alla richiesta del suo documento d’identità e di quello della sua accompagnatrice. Il tutto mentre nella stessa stanza un’altra donna, sopraggiunta nel frattempo, probabilmente stava per partorire.

A questo punto siamo state in altri 9 ospedali di Roma e provincia. Al Sandro Pertini ce l’hanno data dopo circa 2 ora e mezza di attesa, senza fare particolari problemi ma consigliandoci di non rivolgerci a un pronto soccorso dove, ci hanno detto, molti medici sono obiettori di coscienza. Anche al pronto soccorso ginecologico del Policlinico Umberto I ce l’hanno data senza problemi, ma lì la settimana scorsa una nostra amica era stata invitata a ritornare al cambio turno. Anche al San Camillo è stata ottenuta facilmente ma in tutti gli altri ospedali di Roma le cose non sono andate così bene. All’ospedale San Giacomo non si è superata l’accettazione perché appena richiesta la ricetta è stata citata una fantomatica circolare regionale che vieterebbe la prescrizione del farmaco nel pronto soccorso. Al Nuovo Regina Margherita, passata dopo insistenze l’accettazione, il medico di turno si è rifiutato di prescrivere la pillola adducendo come motivazione l’obiezione di coscienza, facendo affermazioni al limite della molestia del tipo “per essere sicuro che ha avuto un rapporto dovrei farle un prelievo vaginale” e aggiungendo “qua c’è il Vaticano e ci sono delle regole”, “fanno il comodo loro e poi vengono qua”, “se in Francia la danno prenda un treno e ci vada”. Al Santo Spirito, che presto ospiterà una tecnologicissima “ruota” per i bambini abbandonati, il rifiuto di prescrivere la pillola è stato netto anche dopo l’offerta di firmare una liberatoria che sollevasse la medica dalla responsabilità per eventuali effetti collaterali.

Ai Castelli invece le cose sono andate un po’ meglio: nonostante i rifiuti iniziali la ricetta è stata ottenuta al San Giuseppe di Marino, al San Sabastiano di Frascati, al San Giuseppe di Albano, grazie a quella determinazione che non è stata sufficiente sul territorio romano. I problemi sono poi sopraggiunti alla farmacia di Marino, dove ci è stato risposto, come spesso accade, che non ce l’avevano.

Il nostro obiettivo era capire i margini di manovra di una donna che al primo rifiuto insiste mostrandosi cosciente e sicura di sé e dei suoi diritti. Il risultato è: non ci sono margini di manovra se davanti hai un medico che non te la vuole dare.

Abbiamo trovato dottori fantasma che si sono rifiutati di dirci il loro nome, nella quasi totalità degli ospedali non ci hanno neanche registrate, anche noi utenti fantasma. Soprattutto non hanno mai accettato di mettere per iscritto il loro rifiuto. Nel caso più eclatante a questa richiesta è seguito un tentativo di visita ginecologica farsa e un’identificazione minuziosa con l’evidente obiettivo di intimidire la donna che osa chiedere a testa alta.

Abbiamo trovato medici sicuri di sé, evidentemente con le spalle coperte, che possono fare il bello e il cattivo tempo, che possono ignorarti o darti risposte ai limiti del ridicolo, del terrorismo psicologico o della violenza e questo perché sei una donna che osa chiedere o peggio sei anche, o sembri, straniera… dove abbiamo trovato muri, questi muri erano invalicabili e non c’è stata coscienza di sé o dei propri diritti da far valere.

Questa situazione deve finire! La pillola del giorno dopo è un farmaco legale, i pronto soccorso ospedalieri sono un servizio pubblico, l’obiezione di coscienza generalizzata e senza alternative per la donna è una realtà inaccettabile e illegittima che sopravvive nelle maglie di un vuoto o di una confusione legislativa e grazie all’indifferenza o connivenza del resto del personale sanitario e ospedaliero, ovviamente con le dovute ma rare eccezioni.

Vogliamo che sia garantito l’accesso a un farmaco che in tanti paesi europei si può richiedere semplicemente in farmacia senza ricetta medica. Invitiamo tutte le donne a partecipare a questa mobilitazione su una tematica che investe sia i bisogni concreti, sia il piano culturale e simbolico poiché sperimentiamo ogni giorno la colpevolizzazione della sessualità delle donne, ancor più se slegata dalla riproduzione.

Noi continueremo ad autorganizzarci a partire dai nostri bisogni e desideri e troveremo le forme per prenderci ciò che ci spetta.

Assemblea femminista di via dei Volsci 22

Gruppo di donne del Csoa ex Snia Viscosa

Collettivo femminista La mela di Eva

Collettivo delle Ribellule

Articolo da "Il Paese delle donne"

DONNE DELLA SNIA

Hanno cominciato a vedersi per discutere del risultato deludente del referendum sulla legge 40. Poi sono arrivati gli attacchi ai consultori (a livello regionale prima, nazionale poi) ed alla legge 194 firmati Storace, così le riunioni per discutere di questi temi sono divenute per alcune donne del CSOA Ex-Snia Viscosa di Roma un appuntamento fisso.

Il gruppo è composto da una decina di donne, a cui inizialmente si univano alcune compagne di altre realtà della zona (laboratorio sociale occupato ed autogestito laTalpa e CSOA Strike), e lavora nei quartieri Prenestino e Pigneto.

L’obiettivo del lavoro sul territorio è quello di raccogliere informazioni sul consultorio (quello di piazza dei Condottieri è il referente) e sul modo in cui questo viene vissuto dalle donne del quartiere, nonché quello di fare attività di contro-informazione. A questo scopo è stato prodotto un questionario composto di tre parti: la prima propone alcune domande generiche (età, zona di appartenenza, etc..), la seconda intende indagare il grado di diffusione delle informazioni riguardanti l’esistenza dei consultori ed il tipo di servizi che questo offre, la terza parte riguarda l’esperienza personale della donna con il consultorio.

Il gruppo di donne dell’ex-Snia ha anche dato vita a numerose iniziative. Il 23 marzo, per iniziare, è stato organizzato un incontro per parlare del repartino del Policlinico Umberto I di Roma, occupato all’indomani dell’approvazione della legge 194/78 per garantirne l’applicazione: l’idea era quella di «riflettere e riparlare di un'esperienza che cercava di fare di un momento drammatico come quello dell'aborto un momento di partecipazione e solidarietà tra donne, nonché di riproporre un modo diverso di intendere il rapporto medico-paziente all'interno della struttura sanitaria» e di porre in continuità quell’esperienza dirompente di autodeterminazione ed autogestione con le odierne esperienze di lotta contro «la restaurazione clericale e maschilista su corpo e la mente delle donne». L’iniziativa, infatti, voleva anche affrontare la questione delle condizioni dei repartini in cui oggi si pratica l’IVG in merito alla libertà di scelta ed autodeterminazione delle donne.

Il 5 maggio, invece, il gruppo ha organizzato un pomeriggio di discussione sulla pillola del giorno dopo nell’isola pedonale del quartiere Pigneto. Ai/alle passanti è stato distribuito materiale contro-informativo sul farmaco ed una ginecologa ha risposto alle domande delle persone interessate, toccando anche la spinosa questione dell’obiezione di coscienza invocata spesso dai medici per non prescrivere il contraccettivo di emergenza. La scelta di dare vita all’iniziativa in piazza è motivata dalla volontà del gruppo di tornare a parlare di queste questioni in pubblico e di avvicinare persone che di questi temi non parlano e non sentono parlare.

In piazza, di nuovo nell’isola pedonale del Pigneto, si è svolta l’iniziativa del 15 giugno su pillola abortiva, aborto e obiezione di coscienza. Come per la pillola del giorno dopo è stato prodotto un opuscolo, distribuito ai/alle passanti. Una ginecologa ha discusso con la gente delle procedure per l’interruzione volontaria di gravidanza, della RU486 (e della battaglia che con alcuni medici stanno combattendo per ottenerne la sperimentazione) e del problema dell’obiezione di coscienza, che nel Lazio riguarda il 77% dei medici.

In previsione per il prossimo futuro c’è un nuovo incontro in piazza, questa volta sulle malattie sessualmente trasmissibili.

Il gruppo ha anche partecipato all’iniziativa del 9 giugno sulla pillola del giorno dopo andandola a richiedere in vari ospedali della capitale.

Opuscolo informativo sulla pillola abortiva RU486

In Italia l'IVG (Interruzione Volontaria di Gravidanza) viene praticata quasi ovunque solo con intervento chirurgico, anche se la scienza si e' evoluta e ha trovato nuovi metodi, meno dispendiosi economicamente e meno traumatici per la salute psico-fisica della donna, come quello farmacologico della RU486.

RU486: UN PO’ DI STORIA

La RU 486 è il primo prodotto di una nuova generazione di medicinali conosciuti con il nome di antiprogestinici (anti-ormoni).

Nel 1970, In Francia il Professor Beaulieu e la sua equipe fa una scoperta sui recettori del progesterone nelle cellule dell’utero.

Nel 1980 : Viene sintetizzato il primo anti-ormone conosciuto sotto il nome di RU 486 (RU come Roussel-Uclaf, il laboratorio francese dove si svolgono queste ricerche)

Dal 1982 al 1987 : si apre un periodo di sperimentazione della RU 486 sotto l’indicazione di abortivo. Le prove verranno condotte in una ventina di paesi , tra cui : Francia, Stati Uniti, Svezia, Inghilterra, Svizzera, Cina ; con l’appoggio dell’OMS in vari Paesi europei e dell’America Latina (Finlandia, Messico, Cile..) anche nell’Asia del Sud Ovest. Durante questo periodo si inizia a combinare la somministrazione dell’RU 486 con una prostaglandina, permettendo così al metodo di raggiungere la piena efficacia .

Dal 1987 al 1993 la pillola RU486 viene omologata e autorizzata in vari paesi : dall’88 in Cina; in Francia nell’89 Roussel –Uclaf comincia la distribuzione dell’RU 486su grande scala nei centri IVG francesi.

Nel 1991 in Inghilterra, a seguito della domanda presentata dalla filiale britannica di Roussel-Uclaf, i servizi di sanitari inglesi autorizzano l’utilizzo del prodotto.

Nel 1992 in Svezia i servizi sanitari svedesi permettono a loro volta l’utilizzazione della RU 486 nel loro paese. Negli Stati Uniti bisognerà attendere l’elezione di Clinton nel 2000 ( Reagan e Bush non erano favorevoli alla RU) per sbloccare la situazione in questo paese.

Dal 1992 al 1994 : inizio delle ricerche sulle altre indicazioni dell’RU 486. Nel 1992, uno studio effettuato in Scozia utilizza la RU 486come pillola del giorno dopo. Mentre nel maggio 1993 negli Stati Uniti iniziano test clinici per usare l’RU 486 in donne colpite dal cancro al seno.

COME AGISCE LA RU486?

Il principio attivo della pillola Mifegyne è il mifepristone, che in Italia non è ancora registrato, motivo per cui in quasi tutti gli ospedali non si pratica l’aborto farmacologico. Il mifepristone contrasta l’azione del progesterone, e quindi è in grado di interrompere, se assunto al momento opportuno, una gravidanza indesiderata in un'altissima percentuale di casi. Il progesterone è infatti l'ormone chiave della gravidanza: prepara la mucosa uterina all'annidamento dell'ovulo fecondato, riduce la capacità dell’utero di contrarsi ed è necessario nel corso di tutta la gravidanza per il normale sviluppo dell’embrione. Molti aborti spontanei sono dovuti a un’insufficienza progestinica. Il progesterone è prodotto in massima parte dal "corpo luteo", organo che si forma nell'ovaio dopo l'ovulazione. Questo, pur conservando la sua funzione per tutto il periodo gestazionale, viene man mano, durante la gravidanza, sostituito dalla placenta nella produzione dell'ormone.

L'RU 486, che non è un ormone, agisce occupando i recettori del progesterone, impedendogli in questo modo di svolgere la sua azione biologica specifica. Se assunto anche per breve tempo nelle prime settimane di gravidanza, determina il distacco dell'embrione e quindi l'interruzione della gravidanza. In pratica, sostituisce il bisturi attivando gli stessi meccanismi che causano l’aborto spontaneo.

COME AVVIENE LA SOMMINISTRAZIONE DELLA PILLOLA RU486?

Prima di procedere è necessario determinare esattamente lo stadio della gravidanza perché l’efficacia del farmaco è massima elle primissime fasi: è necessario infatti che la gravidanza non abbia superato la settima settimana (il 49° giorno dall'ultimo ciclo mestruale), periodo entro il quale le possibilità che il metodo farmacologico agisca con successo sono altissime, e minime quelle di dover ricorrere all’intervento chirurgico per incompleta o mancata espulsione dell'embrione. Oltre questo periodo diminuisce l'efficacia in quanto il livello del progesterone diviene troppo elevato. Bisogna inoltre accertarsi preventivamente che non sia in atto una gravidanza extrauterina (può essere sufficiente un’ecografia). La RU 486 si assume sotto controllo medico, anche se non è necessario restare in ospedale ininterrottamente fino ad aborto avvenuto.

La procedura abortiva prevede la somministrazione di 600 mg di mifepristone seguita, dopo due giorni, dalla somministrazione di una prostaglandina, generalmente il misoprostolo, che ha la proprietà di indurre la contrazione uterina per agevolare l'espulsione dei tessuti embrionali. Di norma, al massimo entro due settimane dalla somministrazione del secondo farmaco si produce l’aborto spontaneo, ma nel 75% dei casi l’aborto si verifica già entro 24 ore dall’assunzione della prostaglandina.

Ovviamente, se il trattamento non ha effetto è necessario comunque procedere chirurgicamente.

Si ritiene che la RU 486 sia stato finora utilizzato in Europa da 600 mila donne e da oltre tre milioni in Cina. La sua efficacia abortiva è in media del 95,5%.

Peraltro, vista la sua azione, per questo farmaco è stato ipotizzato anche l’impiego nel trattamento del tumore della mammella, dell’endometriosi e della sindrome di Cushing, tutte malattie il cui andamento dipende proprio dall’azione degli ormoni sui tessuti interessati (mammella, utero, ecc…).

CHE SUCCEDE IN ITALIA? I PRIMI INTERVENTI CON IL METODO FARMACOLOGICO

All’ospedale Sant’Anna di Torino dal settembre 2005 sono state avviate le sperimentazioni per l’utilizzo della RU486 e si è ormai vicini al traguardo dei 400 casi previsti dal protocollo per uscire dalla fase della sperimentazione.

All’inizio, però, nonostante i sì del Comitato bioetico regionale e dalla Regione, il progetto era finito sotto l’inchiesta della magistratura Alcuni passaggi del cosiddetto «consenso informato» che devono firmare le donne avevano ingenerato infatti nella magistratura torinese dubbi sulle modalità della sperimentazione: si riteneva che la sperimentazione non rispettasse la legge 194 del 1978, in quanto il trattamento non poteva garantire che l’interruzione della gravidanza avvenisse in ospedale o in un poliambulatorio. Alla donna, infatti, vengono somministrati due farmaci (uno è la Ru-486) nell’arco di tre giorni. Sembra che l’aborto avvenga in questo lasso di tempo soltanto nel 50-60% dei casi. In effetti, per tutta la durata del trattamento (15 giorni) alla paziente viene spiegato che deve poter raggiungere il Sant’Anna entro un massimo di due ore, in caso di urgenza, fino ad aborto avvenuto. Che potrebbe avvenire anche in casa. Il «consenso informato» avverte, poi, della rara possibilità che si renda necessaria una trasfusione di sangue a seguito di una forte emorragia. Le perplessità della magistratura erano relative alla possibilità che la donna si trovasse in quel momento lontana dall’ospedale. Un terzo problema, di carattere burocratico, sembrava essere costituito dai due farmaci alla base dell’aborto chimico: l’uno, il misoprostol, in Italia è autorizzato per altri scopi (in particolare, per la prevenzione dell’ulcera peptica), mentre il mifepristone (la pillola abortiva vera e propria) non è ancora registrato.

Nel novembre 2005 a Pontedera (Toscana), è stata effettuata la prima interruzione volontaria di gravidanza con l'utilizzo della pillola abortiva. L'aborto è avvenuto dopo aver richiesto il medicinale alla ditta produttrice francese Excelgyn applicando le procedure previste dalla Regione per l'acquisizione di farmaci esteri non registrati in Italia e non, come sta avvenendo a Torino, col meccanismo della sperimentazione.

Immediata e dura l’opposizione dell’allora ministro della Sanità Storace, il quale ha dichiarato che la RU486 era un incentivo all’aborto (!).

Il mondo scientifico italiano ha invece fatto notare come non ci sia alcun bisogno di sperimentazione per un farmaco in uso già da 14 anni in Francia e da poco meno in quasi tutto il mondo, e che il fatto che in Italia non sia ancora stato registrato è un problema solo politico.

Un altro motivo della mancata registrazione è dato dal fatto che in Italia a livello culturale e di coscienza collettiva, soprattutto nel mondo maschile, (e gli uomini non solo sono in maggioranza nelle aule parlamentari, ma occupano i posti di potere nei ministeri, negli ospedali e delle istituzioni di ricerca scientifica), prevale una latente condanna della pratica abortiva, per cui la donna che decide di abortire è considerata una reietta e come tale è giusto e lecito che soffra il più possibile. In questo senso viene osteggiata duramente l’introduzione di un metodo meno invasivo e doloroso per un’esperienza, quella dell’aborto, che in sé è drammatica e traumatica per tutte le donne.

Anche il «padre» della Ru-486, il francese Etienne Emile Baulieu, è sorpreso dalla situazione italiana: «Da voi vige una pregiudiziale imposta dal Vaticano e contro ogni evidenza scientifica: il farmaco è sicuro, efficace, senza effetti secondari importanti ed è meno traumatico per le donne. Il suo uso favorirebbe l’aborto? Ma allora perché in Francia è andato progressivamente diminuendo?». Lapidario, infine, Umberto Veronesi, ex ministro della Sanità: «In Italia l’aborto è legale, quindi non vedo perché non andrebbe usata la Ru-486 in ospedale al pari degli altri metodi di interruzione della gravidanza».

La Excelgyn, l'azienda produttrice della Ru486, ha chiesto la registrazione centralizzata a livello europeo del farmaco. La procedura, che dovrebbe terminare a ottobre, aprirebbe cosi' la strada alla pillola abortiva anche nel nostro paese.

Recentemente la neo ministra Livia Turco si è espressa favorevolmente all’introduzione del metodo farmacologico per l’interruzione di gravidanza in tutti gli ospedali.

QUANTO COSTA? VALUTAZIONE RISPETTO ALL’ABORTO CHIRURGICO

Il prezzo omnicomprensivo, rappresentante il valore complessivo di intervento e degenza per l’aborto chirurgico e' di circa 760 euro ( ma non esiste un elenco specifico per le varie spese, almeno nel servizio pubblico).

Per l’acquisto delle pillole necessarie all’aborto farmacologico invece si rilevano i seguenti dati: in Belgio il prezzo della confezione Mifegyne della Exelgyn (tre compresse da 200mg) e' stato fissato per legge dal ministro dell'economia a 63,52 euro, in Spagna a 12.000 pesetas (circa 62 euro).

Se andiamo in una clinica statunitense per un'interruzione di gravidanza (visite, test ed esami compresi) si spende una cifra che puo' oscillare tra i 200 e i 350 dollari.

Storia a fumetti del consultorio 4

Storia a fumetti del consultorio 3

Pillola abortiva RU486


Incontri e dibattiti sui diritti e la salute della donna

Per informarci ed informare, per creare nuovi spazi di discussione e confronto, per

costruire percorsi comuni di consapevolezza e azione

LE FORME DI INTERRUZIONE DI GRAVIDANZA:

ABORTO E PILLOLA ABORTIVA RU486

INCONTRO-DIBATTITO

Giovedì 15 giugno, ore 21

Isola pedonale, Via del Pigneto

Intervengono: Dr.ssa Cristina Damiani, Dr.ssa Giovanna Scassellati


Per discutere insieme sull’attuazione concreta della legge 194 del 1978, in un contesto in cui la pratica sistematica dell’obiezione di coscienza ne nega di fatto l’applicazione nella maggior parte degli ospedali del territorio nazionale.

Per considerare nuove forme di interruzione di gravidanza, meno invasive e più rispettose della salute psico-fisica della donna, come la pillola RU486.

Per opporci con forza a una politica sanitaria statale che non regolamenta nelle strutture pubbliche l’obiezione di coscienza, tagli i fondi o chiude i reparti di interruzione di gravidanza, che è incapace di muoversi autonomamente e risulta suddita delle indicazioni conservatrici del Vaticano.

Per ricominciare a parlare pubblicamente del nostro corpo e rivendicare con forza una politica di autodeterminazione femminile!

Storia a fumetti del consultorio 2

Storia a fumetti del consultorio 1

Opuscolo informativo sulla pillola del giorno dopo



Opuscolo informativo sulla pillola del giorno dopo 7



Opuscolo informativo sulla pillola del giorno dopo 6

Opuscolo informativo sulla pillola del giorno dopo 5

Opuscolo informativo sulla pillola del giorno dopo 4

Opuscolo informativo sulla pillola del giorno dopo 3




Opuscolo informativo sulla pillola del giorno dopo 2

Opuscolo informativo sulla pillola del giorno dopo 1

Pillola del giorno dopo


Incontri e dibattiti sui diritti e la salute della donna


Per informarci ed informare, per creare nuovi spazi di discussione e confronto, per costruire percorsi comuni di consapevolezza e azione

Che cos’è la contraccezione d’emergenza? Come funziona la pillola del giorno dopo? A chi chiederla? Quando prenderla? Quali sono gli effetti collaterali?

Vi invitiamo ad un incontro di informazione e dibattito alla presenza di ginecologhe e medici specialistici per risolvere dubbi, dare risposte e chiarimenti, conoscere i nostri diritti

5 maggio 2006 ore 18: incontro informativo su Pillola del giorno dopo e contraccezione d’emergenza

Interverrà la Dott.ssa Cristina Damiani

A seguire dibattito

ISOLA PEDONALE PIGNETO

Quando i diritti li scegliamo noi!

Il repartino auto-gestito al Policlinico

“Facciamo aborti per non abortire”


Assemblea-dibattito sull’esperienza del repartino e dei consultori.


L’esperienza del repartino ha una grande valenza politica e sociale che la rendono quanto mai attuale.

Innanzitutto si tratta di un’esperienza gestita da collettivi extraparlamentari e extrapartitici che si spendono al fine di fare applicare, boicottata di fatto dopo la sua approvazione, la legge 194.


La forte valenza sociale è nel modo con cui si impone con la forza l’applicazione di un diritto già esistente (la legge sull’Interruzione Volontaria di Gravidanza, n.194).


Viene sperimentato attraverso un lungo percorso fatto di assemblee, lotte, occupazioni un diverso approccio all’interno di un servizio sanitario (il Policlinico Umberto I di Roma) al “problema salute” in genere ma nello specifico al “problema salute della donna”.


Il senso del repartino è sintetizzabile nello slogan “Facciamo aborti per non abortire”, si muove cioè sulla linea prioritaria della prevenzione (che diventa un fattore di secondaria importanza se inserito invece nel circuito economico che investe sugli interessi dei privati: case farmaceutiche, dottori baroni universitari, sanità privata in genere! E che salta nel sistema sanitario con i tagli economici ma soprattutto con le privatizzazioni!).


Alla constatazione della forza di questa esperienza, rivendicata a ragione con la frase “Non abbiamo mai parlato solo di aborto” segue la dovuta valutazione del “dopo”

Una volta che la 194 aveva preso piede e veniva applicata ufficialmente era necessaria una rete territoriale di consultori capaci di approfondire e continuare a trattare i temi delle prevenzione e non della cura (che è quella che paga di più chi la può sfruttare sulla nostra pelle!), dell’autodeterminazione, della ricerca e della scelta della maternità.


Era necessario che si creasse ed è necessario che si crei una coscienza forte capace di resistere a qualsiasi attacco politico, economico e religioso!


Dopo la proiezione di un video autoprodotto sull’esperienza del repertino, si terrà un’assemblea-dibattito con esponenti dell’occupazione di allora e medici del Policlinico di adesso, presentando le condizioni attuali della struttura sanitaria, del reparto di ostetrica e dell’IVG.

Venerdì 24 marzo 2006 ore 19,00

Presso il CSOA Ex Snia Viscosa, via Prenestina 173.