mercoledì 24 settembre 2008

Opuscolo informativo sulla violenza di genere

Cosa intendiamo per violenza contro le donne?

Intendiamo una particolare forma di oppressione verso il genere femminile, usata dagli uomini per mantenere invariata la loro posizione di potere, che ha come intento quello di relegare le donne nella condizione di “eterne subordinate”.

Diverse sono le forme in cui si esplicita: dall’eliminazione fisica alla nascosta violenza domestica, dalla violenza psicologica, che si presenta in forme meno visibili, allo stupro (occasionale o ripetuto), dagli stupri di guerra, ai ricatti economici in casa, sul posto di lavoro, etc.

L’ONU e l’U.E. la definiscono violenza di genere, cioè una violenza che si annida nello squilibrio relazionale tra i sessi e nel desiderio di controllo e di possesso da parte del genere maschile sul femminile.

Le macro-tipologie di violenza riconosciute sono: violenza fisica (maltrattamenti), sessuale (molestie, stupri, sfruttamento), economica (negazione dell’accesso alle risorse economiche della famiglia, anche se prodotte dalla donna), psicologica (violazione del sé), di coercizione o riduzione della libertà.

Da tali definizioni si può comprendere come la violenza attraversi in maniera pervasiva la vita di noi tutte, senza escludere alcuna!

In questo ultimo periodo i media si sono concentrati sulla denuncia di violenze sessuali da parte di violentatori giovanissimi che stuprano e minacciano le loro coetanee. Citiamo la recente notizia, che ci viene da Ancona, dove un gruppo di ragazzi ha ripetutamente violentato una giovane di tredicenne.

I media lanciano l’allarme, i rappresentanti della politica prendono posizione , ma una seria analisi del fenomeno ed una efficace proposta di intervento appaiono ancora lontane dal realizzarsi.

Il lavoro delle donne per la costruzione di una diversa cultura che dia voce al soggetto femminile,lo riconosca nella sua ricchezza e diversità, è ancora lungo e faticoso. Molte sono le resistenze ed i tentativi di cancellazione delle conquiste ottenute.

Nella giornata del 25 novembre si parla di violenza contro le donne. E' già qualcosa perchè di fatto non se ne parla molto. E' già qualcosa perchè per troppo tempo il silenzio sull'argomento o ha quasi minimizzato, ridotto di spessore mediatico e conseguentemente di importanza, come se non fosse né grave nè rilevante. I dati statistici bastano da soli per ridare il giusto spessore a quella che è una piaga, non solo mai sanata ma su cui pochissimi sono i tentativi di intervento, se si escludono le realtà dei Centri antiviolenza.

Una seria politica di intervento da parte delle istituzioni dovrebbe potenziare le risorse necessarie a coloro che per questo processo di trasformazione lavorano già da tempo. Un esempio ne sono i centri antiviolenza, messi in piedi agli inizi degli anni novanta in tutta Italia da gruppi di donne. Dare visibilità a questi spazi significa dare visibilità al problema che va affrontato con la prevenzione e con una giusta consapevolezza collettiva. I Centri antiviolenza, che agiscono soprattutto grazie alle forze delle volontarie, pur volendo occuparsi della prevenzione, di fatto non hanno le dovute risorse soprattutto economiche, in quanto non esiste una sufficiente attenzione delle istituzioni rispetto a questa piaga.

I dati sulla violenza contro le donne

Nonostante il fenomeno sia in gran parte sommerso, si scoprono dati allarmanti.

Prima del cancro, degli incidenti stradali e della guerra, ad uccidere le donne o a causarne l'invalidità permanente, è la violenza perpetrata dall'uomo.

Tale affermazione si evince da una dichiarazione di Mary Robinson, componente della Commissione Onu sulla violenza alla fine degli anni ‘90.

Le statistiche inerenti ai reati commessi negli stati membri della commissione europea parlano chiaro: in Europa la violenza rappresenta la prima causa di morte delle donne nella fascia di età tra i 16 e i 50 anni e nel nostro paese ogni tre morti violente, una riguarda donne uccise dal marito, convivente o fidanzato.

In Russia, in un anno, sono morte 13mila donne, il 75% delle quali uccise dal marito, solo a titolo di paragone 14000 russi sono morti durante la guerra contro l’Afganistan, nell’arco però di 10 anni.

Negli Stati Uniti e in Svezia si registrano dati sulla violenza femminile molto alti: negli Usa ogni quattro minuti una donna viene violentata e in Svezia, dove l'emancipazione femminile ha raggiunto i massimi livelli, ogni dieci giorni una donna viene uccisa.

L'ultima ricerca dell'Eures, relativa al 2004, dimostra che un omicidio su quattro in Italia avviene in famiglia, tra le mura domestiche. Il 70% delle vittime sono donne.

Le violenze sessuali sono un fenomeno ancora molto sommerso: solo il 32% delle donne che hanno subìto uno stupro negli ultimi 3 anni e solo l'1,3% di quelle che hanno subìto un tentato stupro, hanno sporto denuncia.

I dati, già di per sé agghiaccianti, risultano però piuttosto approssimativi. Rintracciare con certezza le proporzioni del fenomeno della violenza subita dalle donne non è ancora possibile per via della tendenza a non denunciare gli abusi.

In occasione della giornata internazionale per l’eliminazione della violenza nei confronti delle donne, la Commissione permanente dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (APCE) ha adottato, nel corso di una riunione a Bucarest nel novembre del 2005, la seguente dichiarazione:

“Migliaia di donne subiscono quotidianamente violenze fisiche, sessuali o psicologiche in Europa. Ogni giorno, una donna su cinque è vittima della violenza domestica nel nostro continente. Tale fenomeno interessa tutti gli stati membri del Consiglio d’Europa e tutte le categorie professionali. Troppe vittime, tuttavia, si chiudono nel silenzio e numerosi crimini restano impuniti.”

Per rendere ancora più palpabili le considerazioni appena fatte, ricordiamo che fino al 1981 il delitto d’onore era ancora presente nella nostra legislazione. Solo nel 1996 è entrata in vigore la legge contro la violenza sessuale, grazie all’instancabile impegno politico portato avanti dai gruppi di femministe, in diciotto anni di estenuanti trattative. Si è così finalmente riconosciuto che lo stupro è un reato contro la persona e non più contro un’astratta morale .

La violenza nel vissuto quotidiano delle donne

Il maschilismo è l’uso sistematico del potere degli uomini nei confronti delle donne. È un potere che si esplica in forme diversificate, autorevoli ed autoritarie e si perpetua nella quotidianità del vissuto femminile. Non è solo nello stupro o nell’assassinio il modo in cui avviene l’esercizio di dominio dell’uomo nei confronti delle donne (anche se queste sono le espressioni più violente) ma è anche nelle altre forme di potere della realtà di tutti i giorni, che passano attraverso la comunicazione, il ruolo dato alle bambine e alle donne poi nella famiglia, nella società, nella scuola e nel mondo del lavoro. Le parole, i silenzi, la gestualità, i sorrisi, le ammonizioni considerate “naturali ed innocue” usate nei confronti delle donne sono carichi di significati, materiali simbolici discriminanti, che definiscono il ruolo delle donne in termini di subordinazione nei confronti degli uomini. fino all’accettazione da parte delle donne della propria inferiorità fino a farle sentire responsabili delle violenze subite, e vergognarsi di denunciare gli abusi dentro e fuori le mura famigliari.

In linea generale storicamente le religioni hanno contribuito e determinato a radicalizzare l’ideologia maschilista. Nell’occidente l’immagine di dio è maschile. Stando al racconto biblico dio creò l’uomo a propria immagine e somiglianza, mentre la donna è frutto di un atto di creazione secondaria derivante da una costola dell’uomo e da un pugno di terra. Noi donne che creiamo siamo state così espropriate dall’atto di creazione della vita. Gli ebrei ancora oggi recitano ogni mattina una preghiera in cui alla fine ringraziano dio per non averli fatti nascere donne. Nel nuovo testamento si legge… “il marito è capo della propria moglie…le mogli si sottometteranno in tutto al proprio marito”.

Oggi nella nostra società il sesso determina lo status occupazionale di una persona, che è fortemente influenzato dall’istruzione. Le donne dagli anni Settanta in poi hanno avuto accesso alla scolarizzazione superiore ma ancora oggi si registra che per esse le scelte scolastiche secondarie e universitarie sono fortemente condizionate dal proprio sesso, che culturalmente vuole le donne relegate in ruoli subordinati ed escluse da compiti di responsabilità e di alta competenza.

Si crea un circolo vizioso di emarginazione, precarietà e disoccupazione femminile: non è un caso che nei confronti delle donne sono più facili i licenziamenti, il ritardo nell’assunzione, il declassamento nelle mansioni e nelle posizioni professionali; inoltre le donne continuano ad assumersi pienamente anche il lavoro dentro casa e la responsabilità della crescita dei figli.

Nella società i mass media attraverso la pubblicità legittimano il ruolo ideale e stereotipato delle donne come tentatrici – oggetto di desiderio maschile – o moglie e madre, donne comunque dipendenti dagli uomini, facendo credere loro che i propri talenti e interessi devono passare in secondo piano rispetto ai bisogni dei loro mariti, figli e amanti. Purtroppo non è solo la comunicazione di massa ad esercitare questo ruolo ma è nella quotidianità della comunicazione personale diretta che si sedimenta lo stereotipo riguardante l’identità sessuale.

Non è raro che anche nelle situazioni sociali e politiche più emancipate si registrano modalità e comunicazioni fortemente discriminatorie nei confronti delle donne. Il fatto che spesso gli uomini diano per scontato che le donne sono in qualche modo inferiori rende per loro impensabile, anche se non lo dichiarano, instaurare dei rapporti significativi, rispettosi ed egualitari con le donne; essi sono restii a perdere il proprio potere e rinunciare al loro status privilegiato. Pensare ad una società diversa significa affermare che le donne hanno delle caratteristiche diverse da quelle degli uomini. Il portare della cultura femminile è veramente rivoluzionario, in quanto significa l’affermazione del riconoscimento dell’uguaglianza nella diversità, di stili e modi di vita diversi ed alternativi, facendo venire meno le dinamiche del potere e della discriminazione.

La violenza domestica

La violenza domestica è la forma di violenza più diffusa nel mondo e rappresenta una violazione del diritto delle donne all’integrità fisica e psicologica. In questo contesto i maltrattatori sono uomini che appartengono alla cerchia dei famigliari, mariti, conviventi, fidanzati o ex, padri o fratelli, anche per i casi di violenza sessuale Si manifesta in varie forme: abusi fisici e psicologici, atti di violenza o tortura, stupro coniugale, incesto, privazioni economiche, matrimoni forzati o prematuri, crimini d’onore (quest’ultima forma si registra quando un uomo si sente leso nel suo “onore” dai comportamenti della propria moglie, figlia, sorella: comprende la tortura, lo sfregio permanente del viso con acido, l'omicidio: si registrano casi in numerosi paesi del Medio Oriente, dell’Asia meridionale e dell’America Latina, ma anche nei paesi dell’occidente). È una forma di violenza trasversale che si ritrova in tutte le società, culture, classi, sia nei paesi a capitalismo avanzato che negli altri.

Restringendo il discorso ai paesi che meglio conosciamo, cioè a quelli dell’occidente, europeo e non, notiamo come la violenza domestica continui a presentare cifre allarmanti, e questo nonostante un parziale cambiamento di mentalità attuatosi dal secondo dopoguerra a oggi, e tutta una serie di conquiste civili (divorzio, aborto, riforma del diritto di famiglia ecc) ottenute in seguito alle lotte del movimento femminista.

D’altra parte, se si considera il modo in cui è avvenuta tra donne la trasmissione di questi diritti conquistati, questo non dovrebbe stupirci: la maggior parte di essi sono infatti stati recepiti in maniera meccanica dalle donne negli anni successivi e continuano ad esserlo ancora oggi, senza che sia corrisposta una piena consapevolezza individuale.

La violenza domestica, così come quella che avviene fuori dalle pareti della casa, è il frutto di un intreccio di motivazioni culturali e sociali, nonché di elementi psicologici: abbiamo una società che prepara gli uomini a rivestire ruoli e funzioni di dominio e potere, e quindi incide su un sostrato di vulnerabilità psicologica di molti di questi uomini, i quali producono certi comportamenti sotto la spinta di quei modelli culturali e sociali.

La violenza domestica è una forma di violenza che generalmente non viene affatto considerata: infatti è difficile a livello sociale e individuale accettare che la famiglia o la coppia non siano quei luoghi pieni di amore, comprensione reciproca, armonia, con cui per secoli il nostro immaginario femminile è stato nutrito e allevato, per vincolare le nostre scelte di vita al modello famigliare e all’ideologia morale e religiosa, come oggi ancora avviene attraverso le informazioni e i modelli culturali trasmessi dai media; è difficile per la maggior parte delle donne (e degli uomini) riuscire ad accettare che la violenza si consumi all’interno delle coppie e delle famiglie comuni, che l’uomo violento non sia soltanto il bruto ubriaco, il maniaco, il perverso, o l’immigrato clandestino: preferiamo ritenerlo un fenomeno marginale, proprio di situazioni sociali ed economiche difficili, mentre invece, come si è gia detto, il fenomeno della violenza domestica è trasversale a tutte le classi sociali e a tutte le culture.

Solo dagli anni 70 attraverso le lotte del movimento femminista si è cominciato a riflettere sulla violenza domestica e sull’ impatto che essa aveva sulle donne, imponendola all’attenzione delle istituzioni come problema sociale, rendendola oggetto di riflessione politica e non più solo un fatto privato come era considerata fino ad allora. Ancora oggi i media, così solleciti quando si tratta di denunciare lo stupro avvenuto per strada, soprattutto se ad opera di un immigrato, l’altro da sé per eccellenza, solitamente tacciono sulle vicende e sulle incidenze della violenza domestica, e così tendono a veicolare l’idea che si tratti di un fenomeno residuale e minimale, mentre è un vero e proprio massacro perpetrato ai danni delle donne.

Esistono numerose ricerche, attuate sia negli U.S.A. che in molti paesi europei, dalle quali risultano percentuali altissime di violenze domestiche.

Dobbiamo considerare inoltre che i dati solitamente si riferiscono solo alle violenze fisiche che vengono denunciate, e non tengono conto dunque di tutti i casi sommersi, che sono la maggior parte: per esempio è molto difficile per una donna riconoscere quando il proprio compagno o il proprio marito agiscono con violenza su di lei imponendole, per esempio, un rapporto sessuale non desiderato, che però viene solitamente considerato come facente parte dei “doveri di coppia”;o ancora, solo in anni recenti stanno aumentando le segnalazioni delle violenze psicologiche, le quali, secondo i racconti stessi delle donne, sono quelle più devastanti e che lasciano maggiori danni nella psiche.

È bene evidenziare infatti che ogni violenza è prima di tutto psicologica, ed è lì che si deve intervenire se si vuole incidere sulle cifre enormi della violenza fisica domestica

Senza un’attenzione alle forme e ai modi della violenza psicologica, infatti, non si potrebbe spiegare come le donne ancora oggi abbiano così tante difficoltà a reagire ai partners violenti, ad uscire dalla relazione, addirittura a prendere consapevolezza di quello che sta loro accadendo.

Solitamente infatti le violenze fisiche arrivano alla fine di un processo lungo e devastante di violenze psicologiche, e queste ultime ne preparano il terreno, mentre invece un’immediata aggressione fisica verrebbe in molti casi riconosciuta dalla donna e creerebbe delle reazioni di difesa; consideriamo inoltre che non sempre gli uomini violenti hanno un comportamento costante che permette alle donne di riconoscerli come soggetti pericolosi, ma nella maggior parte dei casi alternano alle azioni violente lunghi momenti in cui sono compagni affettuosi e amorevoli.

Esistono delle relazioni in cui il partner può distruggere la compagna senza sferrare alcun colpo fisico, ma attraverso continue aggressioni verbali, intimidazioni oppure più sottilmente attraverso critiche continue, svalutazioni, dubbi sull’operato o sulle capacità intellettuali della donna, omissioni, deprivazioni economiche o controllo asfissiante sulle spese: sono strumenti occulti, ripetitivi e sottili che hanno come fine la demolizione e la sottomissione della soggettività femminile, la perdita da parte della donna della fiducia in se stessa. In molti casi poi le donne arrivano già con un portato di violenze psicologiche (e fisiche) maturato per esempio all’interno della loro famiglie d’origine, esperienza che le rende incapaci di pensare che possano esistere modi diversi di vivere la relazione di coppia o quella famigliare: per questo è importante tutelare il più possibile i bambini e le bambine da questo tipo di esperienze, poiché essi imparano dai genitori il modo di interagire con gli altri, e infatti spesso bambini e bambine maltrattati finiscono per riprodurre le stesse dinamiche di dominio e soggezione nelle loro future relazioni.

Ogni violenza è prima di tutto psicologica perché il fine dell’uomo violento che aggredisce la propria compagna non è semplicemente quello di farle un occhio nero: la sua finalità è il dominio, è instaurare un rapporto di potere in cui sia ben chiaro chi dei due è il padrone.

Purtroppo ancora oggi la violenza psicologica non è sufficientemente tutelata in sede legale (molto recenti e in fase di definizione sono le categorie giuridiche del mobbing per le molestie sui luoghi di lavoro) e ancora pochi sono gli studi su di essa. Ciò avviene per due motivi principali: il primo riguarda la valenza soggettiva di questo tipo di violenza, poiché la consapevolezza di quello che è inaccettabile varia da un’epoca all’altra, da una società all’altra, e anche da una donna all’altra, in quanto sono il portato della sua esperienza e della sua sensibilità; il secondo riguarda la difficoltà di individuarla, poiché finalità distruttive possono essere veicolate anche attraverso parole affettuose e spesso addirittura giustificate attraverso il sentimento d’amore.

È inoltre importante distinguere tra la semplice lite, in cui sotto il conflitto e lo scontro, anche veemente, sono presenti sia un’affermazione della propria personalità sia il riconoscimento dell’esistenza e dell’importanza di quella dell’altro, e la violenza, il cui fine è invece l’annichilimento dell’altro, nel caso specifico della donna.

La maggior parte delle ricerche e dei dati considerano ancora la coppia eterosessuale, ma cominciano a esservi studi che rivelano come analoghe dinamiche si rinvengano in molte coppie omosessuali.

È necessario dunque continuare a discutere e a combattere il sessismo che è ancora dominante in tutte le società e le culture del mondo, e che trova tra le pareti domestiche il terreno più frequente, più sicuro e più distruttivo di espressione.

La mercificazione del corpo femminile

Un maxi cartellone pubblicitario, che qualche anno addietro troneggiava sulle nostre strade, proponeva un primo piano di una bionda dal seno prosperoso accompagnato dalla scritta “non so cucinare, e allora?”, quasi a presentare la mercificazione del corpo femminile come alternativa “rivoluzionaria” all’abituale ruolo di “angelo del focolare” assegnato alla donna dalle nostre società inguaribilmente patriarcali.

Finalmente ecco una valida alternativa per la donna, ormai sempre più restia ad accettare il confino entro le mura domestiche: imbellettarsi ed infiocchettare il proprio corpo in modo da renderlo assai più invitante e succulento di una pietanza ben cucinata. Del resto i paragoni culinari sembrano riscuotere un notevole successo: la homepage di uno dei più noti siti internet (ovviamente non pornografico, ma di quelli adatti a tutti, anche ai minori) richiama l’attenzione sugli “stuzzicanti video” di ragazze che è possibile scaricare.

Non c’è che dire, il passaggio da cuoche a “stuzzichini” è davvero significativo nell’ evoluzione dell’immaginario collettivo sul genere femminile e fondamentale per l’ emancipazione della donna

Il corpo femminile è con insistenza proposto (dalla pubblicità, dai media) quale strumento di soddisfacimento del piacere sessuale maschile, viene svestito o vestito in funzione di una ragione sociale che guarda sempre all’esigenza dell’uomo come prioritaria. In questo senso l’imposizione di un abbigliamento atto a nascondere il corpo femminile o, al contrario, il costante invito a mostrarlo e ad ostentarne le forme sono ad essere due facce della stessa medaglia.

In entrambi i casi, infatti, la donna viene espropriata del proprio corpo, cessa di dominarlo, e si apre la porta alla legittimazione dello stupro: forte di una società modulata sui suoi bisogni anche in ambito sessuale, l’uomo è portato a concepire il corpo femminile come qualcosa che esiste per lui, che viene esibito o occultato per lui, per invogliarlo o disincentivarlo all’atto sessuale e dunque si sente in diritto di disporne a suo piacimento.

Il corpo della donna è “bene mobile” di cui padri e fratelli possono servirsi quale merce di scambio concedendo la propria figlia o sorella in sposa ad altri uomini che ne faranno lo strumento per il soddisfacimento di esigenze sessuali e riproduttive.

Se, dunque, le modalità attraverso cui la donna viene “istruita” ad offrirsi per la realizzazione sociale e sessuale maschile possono subire dei mutamenti (variando da un’educazione improntata sul vivere nascostamente e preservarsi per il futuro sposo, ad una esplicita professione di disponibilità sessuale) un punto resta fermo: la sessualità, i desideri, i bisogni della donna sono immancabilmente e assolutamente invisibili.

Violenza sulle donne in contesti di guerra

Se, in tempo di pace, la violenza sulla donna appare così frequente, ancora più diffusa risulta essere in situazioni di guerra, dove la popolazione femminile è esposta, al pari e maggiormente di altre categorie, a sopraffazioni e violenze.

La violenza sulla donna, e in particolar modo l’abuso sessuale, all’interno dei conflitti bellici, si pone non come un’azione occasionale ma come un’arma, una pratica usata intenzionalmente per indebolire forza e potere del nemico. Lo stupro, soddisfacendo gli animaleschi istinti di soldati brutali, è infatti causa di umiliazione, di sottomissione, di intimidazione, di terrore, oltre che espressione di disprezzo e di odio razziale. Altri casi di violenza, organizzata e pianificata, diversi nelle motivazioni ma uguali nelle conseguenze, sono quelli degli stupri “autorizzati” come premio per le truppe vincitrici di quella o quell’altra attività bellica specifica.

Fino a non molto tempo fa la violenza sulle donne veniva considerata con uno spiacevole ma inevitabile effetto dei conflitti bellici. La gravità di un fenomeno del genere non viene ancora percepita adeguatamente dal senso comune. Pensiamo alla tranquillità con cui si è sempre raccontato il “Ratto delle Sabine” (rapite e violentate al tempo di Romolo dai fondatori della città di Roma che non avevano donne da cui sarebbe potuta nascere la loro discendenza).

La maggior parte delle volte tali stupri, perpetrati in contesti colmi di brutalità, barbarie e sopraffazioni, rimangono sconosciuti all’opinione pubblica (anche in quanto spesso taciuti dagli atteggiamenti conniventi delle autorità).

Non dimentichiamo il rischio di queste donne abusate, spesso più volte e da più uomini, di contrarre pericolose malattie sessualmente trasmissibili.

In molti contesti, poi, la donna si ritrova ad essere ripudiata, allontanata da marito e parenti, in quanto violentata, madre di un figlio di una diversa etnia.

E, sempre più spesso, proprio questo risulta essere lo scopo dei soldati che mettono in atto tali stupri, ovvero quello di annientare la stirpe della popolazione nemica mettendone incinte le donne. Un obiettivo abietto e abnorme che si concretizza, ovviamente dopo uno, due decenni ma che, sin da subito, genera umiliazione e sconcerto psicologico.

Questo è quanto avvenne nel contesto della ex Jugoslavia durante la guerra civile che il paese visse, a partire dal 1992 e per tutti gli anni Novanta, (ricordato, tra l’altro, nel film “Il segreto di Esma” di Jasmila Zbanic Orso d'oro 2006). Lo stupro di massa che fu praticato, fu infatti messo in atto anche secondo uno scopo ben pianificato, ovvero quello di una pulizia etnica della popolazione bosniaca. All’interno di un contesto di violenze quale fu quello della guerra serbo-bosniaca, furono circa 20.000 le donne stuprate con lo scopo di far portare loro in grembo il figlio del nemico e farne così morire l’etnia. Ricordiamo ancora il terribile stupro di massa avvenuto nel maggio 1944, verso la conclusione della seconda guerra mondiale, proprio in Italia, in Ciociaria. Un contingente dell’esercito francese, sbarcato in Italia al fine di contribuire alla liberazione della nazione dalle truppe tedesche, commise brutali violenze sulla popolazione ciociara e violentò un enorme numero di ragazze e di donne. Le cifre non sono certe ma si parla di circa 3.000, 3.500 donne stuprate dai soldati alleati. Numero impressionante se si pensa al brevissimo periodo (12-27 maggio) e al limitato territorio in cui tali violenze furono perpetrate. Questo evento, così terribile, ha ricevuto una risonanza più che nei testi storici, nella letteratura e nella filmografia. Ci riferiamo, ovviamente, al romanzo di Alberto Moravia “La Ciociara” (1957) e l’omonimo film di Vittorio de Sica (1960).

Oggi lo stupro di guerra è considerato crimine contro l’umanità (per la prima volta nel febbraio 2001 dal Tribunale Internazionale per l’ex Jugoslavia). Ma i conflitti bellici non sono finiti e queste terrificanti azioni continuano ad essere proprie di ogni contesto di guerra. Pensiamo all’Afganistan, all’Iraq o a tutte le altre guerre ancora in corso. Ne abbiamo approfondito solo due a titolo di esempio, perché a noi più vicine o perché di dimensioni veramente drastiche. Ma non si pensi che queste rappresentino situazioni inconsuete o isolate. Dove c’è guerra c’è violenza e sopraffazione e, purtroppo, la donna è sempre la prima subirla con il proprio corpo.

Riappropriamoci del nostro corpo



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